2 L’ANALISI DEI BISOGNI E DEFINIZIONE DEI FABBISOGNI FORMATIVI

Nella progettazione formativa, l'analisi dei fabbisogni è quasi universalmente riconosciuta come momento fondamentale per la realizzazione di interventi efficaci; secondo alcuni autori, anzi, la definizione dei bisogni, necessaria per arrivare alla identificazione del fabbisogno, rappresenterebbe già una fase del percorso di formazione. Trovandoci a trattare dell’analisi dei fabbisogni formativi del volontariato, diventano necessarie alcune considerazioni relative alla peculiarità di questa formazione sociale, soprattutto in riferimento alle risorse umane che la compongono (i volontari) e al modello organizzativo di riferimento delle organizzazioni nelle quali agiscono. Le ricerche fatte sul volontariato italiano mettono in luce una ambivalenza che è peculiarità del settore: i soggetti di privato sociale sono allo stesso tempo mezzi e fini dell’azione solidale, dal momento che si rivelano strumenti operanti a beneficio della collettività e luoghi di ricerca individuale di senso. (1)

Riguardo all’identità del volontariato e all’autonomia di esso, Donati ci ricorda come si tratti di "attività originaria e libera di persone, che si organizzano per portare aiuto ad altre persone, mediante la costituzione di soggetti sociali capaci di produrre ‘beni relazionali" (2) . L’idea di ‘bene relazionale’ richiama due aspetti: il primo relativo allo scambio, alla reciprocità "intesa come continua osmosi tra mondi ed orizzonti, che messi in contatto dal bisogno e dalla condivisione, si sostengono ed arricchiscono a vicenda al servizio della giustizia" (3); l’altro relativo alla produzione di servizi ‘ad alta intensità relazionale’, la cui efficacia dipende dalla qualità delle relazioni instaurate con il destinatario dell’intervento e fra gli operatori.

In organizzazioni così caratterizzate, la scelta del modello organizzativo non può che favorire la partecipazione, l’autoresponsabilizzazione, la condivisione, la valorizzazione delle persone, per cui nella progettazione formativa, soprattutto nella definizione dei fabbisogni, dobbiamo tenere alta l’attenzione sugli aspetti comunicativi, relazionali e motivazionali.

Le organizzazioni di volontariato si prestano poi più di altre ad essere luogo di empowerment, nella doppia valenza di organizzazioni empowering ed empowered: nel primo aspetto, le organizzazioni forniscono alle persone strumenti per ottenere un controllo sulla loro vita, dopo aver reso possibile l’attivazione di processi di consapevolezza nel senso di sviluppo di capacità di analisi delle proprie risorse, di comprensione dell’ambiente nel quale si agisce e di sperimentazione di nuove competenze; nel secondo aspetto, le organizzazioni empowered sono quelle che riescono a fare ‘lobbing’, a raggiungere i loro obiettivi sviluppandosi in forme che rafforzano la loro efficacia. Le organizzazioni possono essere non direttamente interessate a partecipare alla definizione di politiche su settori che le riguardano, ma essere ugualmente empowered quando sviluppano reali alternative nell’offerta dei servizi e possono agire nell’ambiente che le circonda promuovendo modalità di intervento proprie, ottenendo risultati efficaci.

Sul fronte dell’empowering, i gruppi di auto – aiuto possono, per esempio, diventare luoghi di condivisione di esperienze ed informazioni, e sviluppare risorse, anche personali, per attivare percorsi di soluzione ai problemi.

Nella nozione di empowerment, ci ricorda Zimmerman (4) , ci sono tre componenti: il controllo, la consapevolezza critica, la componente partecipativa. Nell’ambito delle organizzazioni empowering , quelle cioè che promuovono processi di empowerment fra i propri membri, le componenti su citate hanno delle implicazioni dirette nella struttura: lo sviluppo di capacità di controllo dei singoli implica strutture e procedure di natura orizzontale e non gerarchica; la ‘consapevolezza critica’ mobilita risorse all’interno e sovente produce forme volontarie di coordinamento, di gestione e di utilizzo degli spazi; la componente partecipativa promuove la definizione di obiettivi comuni.

In virtù delle caratteristiche appena descritte, la formazione per il volontariato non può certamente richiamarsi ai modelli di ‘indottrinamento’ del passato o identificarsi esclusivamente con l’addestramento e neppure sposare una impostazione aziendalista di professionalizzazione del volontario tout court; dovrebbe piuttosto tenere salva l’identità e la specificità del settore, consentendo uno sviluppo delle potenzialità insite nelle persone e nelle organizzazioni. La formazione può in questo modo diventare processo di innovazione sociale. Per arrivare a questi risultati è opportuno però definire delle metodologie che consentano forme di apprendimento partecipativo: il modello di analisi del fabbisogno formativo per le Organizzazioni di volontariato che proponiamo nelle pagine seguenti vuole essere un primo contributo in questa direzione.

Nel definire i fabbisogni formativi delle organizzazioni di volontariato è opportuno tener presente anche le esperienze già fatte nei termini dei contenuti e delle metodologie di formazione già utilizzate. A questo proposito sono state fatte alcune classificazioni basate sull’offerta formativa per i volontari e sui bisogni espressi (5). In questo campo, le classificazioni non pretendono di essere esaustive, ma possono essere utili per favorire la riflessione; tenendo conto delle impostazioni normalmente utilizzate nella progettazione formativa possiamo identificare alcune macro- aree rispetto all’offerta di formazione nelle organizzazioni di volontariato:

  • area dello sviluppo motivazionale: chi siamo, quali sono i nostri valori, perché agiamo nel mondo (area delle competenze di base).
  • area delle sviluppo di competenze tecniche relative al tipo specifico di intervento e agli aspetti gestionali, quindi l’informazione, l’aggiornamento, il sapere (area delle competenze specifiche)
  • area dello sviluppo di metodologie di lavoro interne ed esterne al gruppo, centrate sugli aspetti relazionali e comunicativi ( area delle competenze trasversali).

Queste macro - aree possono rappresentare una sintesi dei contenuti della formazione, come essa è stata erogata negli ultimi anni, ma quali sono i bisogni di formazione espressi dal volontariato?

Nell’analisi compiuta da Francesca Busnelli (6) vengono evidenziati alcuni bisogni formativi ritenuti ricorrenti nel volontariato sociale (7) :

  • "L’importanza di sapere cosa si va a fare e per chi lo si fa", che risponde al bisogno di conoscenza e competenza;
  • "La riflessione sul perché si fa volontariato"
  • "L’importanza di essere gruppo": avere la consapevolezza di essere risorse nel gruppo, saper riconoscere le competenze degli altri, formarsi a lavorare in gruppo.
  • "Lo sviluppo delle capacità organizzative o gestionali"
  • "La capacità di lettura dei bisogni"
  • "La capacità progettuale interna e con l’esterno".

Tenendo conto ancora delle esperienze già maturate nel volontariato, ci sembra utile ed interessante la riflessione di Roberto Maurizio a proposito dell'esperienza di formazione del Gruppo Abele (8). In particolare riguardo ai significati della formazione si dice come questa rappresenti l’attivazione di processi "finalizzati alla presa di coscienza delle potenzialità di ciascuna risorsa (persona singola, gruppo, organizzazione)" (9) e come questa possa attivare "processi di cambiamento" (10). Queste considerazioni non sono molto lontane da quanto abbiamo già detto sui processi di empowerment e si deve a Massimo Bruscaglioni, che è uno studioso di processi formativi nelle organizzazioni, l’aver messo in evidenza questo parallelo tra la formazione e il processi di empowermwnt. Bruscaglioni, infatti, afferma che la finalità della formazione non sarebbe quella del mantenimento – conferma dell’attuale, ma neanche in modo diretto e immediato quella del cambiamento, ma piuttosto quella dell’empowerment, inteso come "processo di ampliamento delle possibilità che un soggetto (sia individuo che organizzazione) può pensare e praticare, tra le quali può in definitiva scegliere (compresa la possibilità di permanere nella situazione attuale)" (11) L’empowerment rappresenterebbe quindi l’anello di congiunzione tra formazione e cambiamento: è la formazione che determina empowerment, ed è l’empowerment che consente il cambiamento.

Tornando alla domanda di formazione, questa risponderebbe, continuando con l’esperienza del Gruppo Abele, alle seguenti classi di bisogni individuali dei volontari:

  1. "bisogno di sicurezza" rispetto all'esercizio del proprio ruolo professionale o sociale;
  2. "bisogno di apprendere" dell'adulto che riscopre il gusto dell'apprendimento al di fuori del sistema formale;
  3. "bisogno di comprensione" dei modelli di funzionamento e della cultura organizzativa in cui si inquadra il lavoro sociale ed anche dei problemi sociali di nuova evoluzione;
  4. "bisogno di strumenti" adeguati per sviluppare il proprio lavoro e la propria azione;
  5. "bisogno di legittimazione" scientifica e culturale del lavoro svolto;
  6. "bisogno di appartenenza" verso qualcosa di significativo, ad una progettualità comune, ma anche la condivisione delle proprie fatiche professionali ed umane;
  7. "bisogni di senso", per uscire dal contingente, dall'urgente del quotidiano e cogliere il valore dell'azione. (12)

Tra le ricerche più recenti rispetto all’analisi dei bisogni di formazione, l’indagine di Altieri, Bassi e Masotti, sul volontariato romagnolo offre degli spunti metodologici e contenutistici di grande rilevanza. (13)

Ponendosi nella prospettiva di una formazione "in grado di sviluppare contemporaneamente la dimensione strutturale –organizzativa delle realtà di volontariato e quella degli individui che in esse operano" (14), l’analisi dei fabbisogni è stata compiuta tenendo conto sia degli aspetti strutturali (analisi organizzativa), cercando di mettere in luce anche i punti di forza e di debolezza delle organizzazioni campionate, sia dei bisogni individuali, facendo riferimento alle conoscenze, abilità, atteggiamenti, relazioni, aspettative e motivazioni dei volontari, tenendo presente anche il sistema di attese reciproche tra le persone e l’organizzazione.

I risultati (15) di questa analisi hanno permesso l’individuazione di tre macro - aree di intervento formativo: "l’area dello sviluppo organizzativo (16) , l’area dello sviluppo personale (17), l’area dello sviluppo tecnico professionale per la gestione di un’organizzazione complessa (18)".

Un altro merito degli autori della ricerca appena citata, sta nell’aver individuato alcuni elementi critici che investono in primo luogo la formazione, ma che, a nostro giudizio, hanno ripercussioni più ampie sul ruolo del volontariato in Italia; si tratta dei nodi di seguito indicati:

- sul piano dei bisogni formativi espressi, vi è mediamente una sostanziale omogeneità tra la formazione che si fa e quella che si vorrebbe realizzare: l’innovazione sembra non trovare posto nella definizione dei propri bisogni;

- i bisogni formativi espressi fanno solitamente riferimento al singolo e non al gruppo;

- c’è una certa eterogeneità dei contenuti attribuiti alla formazione, ma vi è mediamente una certa difficoltà nel riconoscerle un ruolo strategico come strumento per il cambiamento e per lo sviluppo dell’organizzazione nel suo complesso ; alcuni responsabili percepiscono questa potenzialità della formazione ma manifestano difficoltà nel veicolare queste idee nella base.

- mancanza di una formazione attenta e specifica per i giovani.

Analizzando le esperienze di formazione nell’ambito del volontariato, direttamente conosciute o come riportate da altri, tenendo conto delle proiezioni future del settore, delle sfide a cui viene chiamato, utilizzando anche i contributi degli studi relativi alle organizzazioni complesse, muovendoci in una direzione interpretativa, possiamo formulare una nostra ipotesi di fabbisogno formativo del volontariato italiano

Secondo la nostra prospettiva, possiamo individuare tre aree, all’interno delle quali far convergere i contenuti su cui potrebbe svilupparsi la futura attività di formazione:

a) area delle competenze tecniche, dove ritroviamo dagli elementi di professionalizzazione del volontariato, nei termini sia di conoscenze e competenze inerenti alla tipologia di servizio o attività svolta, che di conoscenza degli aspetti amministrativi, giuridici e fiscali, fino alle leggi del settore di intervento; rientrano in questa area anche le capacità di fare valutazione e le competenze progettuali;

b) area delle competenze comunicative e capacità relazionali, all’interno della quale ritroviamo una domanda formativa relativa ai temi della comunicazione, alla gestione delle conflittualità interpersonali, alle modalità di lavoro di gruppo e alle capacità di leggere i propri bisogni (come gruppo e come organizzazione); sul piano più strettamente organizzativo, rientrano in questa area anche le capacità e competenze (il saper fare e il saper essere) relative alla gestione delle risorse umane interne;

c) area della capacità di agire all’esterno, nella comunità, all’interno della quale ritroviamo i contenuti formativi relativi alla cultura e alla pratica della solidarietà, all’identità e alla promozione del volontariato, nonché l’acquisizione della capacità di leggere i bisogni della comunità e dell’utenza, ed infine la conoscenza e la capacità di confrontarsi con gli altri soggetti della comunità, dalle altre OOVV fino alle istituzioni. Tale area è più direttamente collegata con la possibilità di diventare una organizzazione empowered.

Muovendoci dall’idea che la formazione per il volontariato debba tenere conto della specificità delle organizzazioni e delle persone che ne fanno parte, e che per le OOVV il fine della formazione dovrebbe, in definitiva, essere quello di promuovere processi di empowerment, si ritiene che la definizione dei fabbisogni formativi in questo settore possa a sua volta diventare un momento di formazione esso stesso. Per questo ordine di ragioni, si è ritenuto importante privilegiare la costruzione di un modello di rilevazione dei bisogni formativi che potesse mettere in relazione le motivazioni individuali, il lavoro di gruppo, la mission e l’organigramma delle organizzazioni.

L’analisi dei bisogni di formazione può diventare quindi l’inizio di un processo di formazione che coinvolga direttamente le organizzazioni e tutti gli individui che le compongono nella ricerca di un miglioramento della propria capacità di agire.

Quale metodologia per una definizione del fabbisogno formativo a partire da questa concezione?

Possiamo utilizzare alcuni suggerimenti che provengono da Quaglino e Carrozzi che hanno messo a punto alcuni strumenti e metodologie per la rilevazione dei bisogni formativi in organizzazioni complesse del mondo del lavoro (19). In particolare, possiamo fare nostra una loro considerazione: " I bisogni di formazione sono contemporaneamente dell’organizzazione e degli individui, nel senso che l’attività di formazione si sviluppa all’interno di un contesto istituzionale che li comprende entrambi" (20); la difficoltà sta proprio nell’armonizzare i due aspetti. Gli strumenti di rilevazione proposti da questi autori ci rimandano ,da un lato ad un’analisi degli elementi strutturali dell’organizzazione, dall’altro ad una analisi dei bisogni individuali. Nell’analisi strutturale vengono raccolti dati generali utili ad una descrizione della realtà organizzativa (strategie, obiettivi, funzionamenti , processi, vincoli), con una particolare attenzione alle risorse umane , sia nelle loro caratteristiche oggettive (età, titolo di studio, iter professionale, anzianità nell’organizzazione e nella funzione) che in quelle legate al cosiddetto ‘comportamento organizzativo’ (assenteismo, dimissioni, turn – over); rientrano nell’analisi dell’organizzazione anche i dati sulla formazione già effettuata. Per quanto riguarda la sfera dei bisogni individuali di formazione, che secondo i nostri autori si configura maggiormente come un’attività di ricerca vera e propria, vengono identificate alcune aree di analisi che attengono alle attività svolte, al ruolo e alle relazioni interpersonali di autorità, agli eventi critici che si presentano con una certa frequenza nello svolgimento delle attività, fino all’analisi del sistema di attese reciproche e i bisogni ad esse collegati. Non riteniamo utile in questa sede descrivere in maniera particolareggiata gli elementi di questo modello di rilevazione (21), ci interessa, però, sottolineare due aspetti forse già evidenziati:

  1. la rilevanza della struttura e delle persone nell’analisi dei bisogni , e conseguentemente nella definizione dei fabbisogni formativi;
  2. la circostanza che l’analisi dei bisogni di formazione si presenta come una vera e propria attività di ricerca.

Quanto detto sull’analisi dei bisogni, e sul fatto che la definizione del fabbisogno formativo possa diventare essa stessa momento di formazione, porta quasi naturalmente ad una scelta metodologica sulle tecniche da utilizzare all’interno delle organizzazioni di volontariato: si tratta delle cosiddette "metodologie di ricerca d’aula", descritte e spiegate con cura da Massimo Bruscaglioni in uno dei suoi testi. (22)

Le "metodologie di ricerca d’aula" comprendono una famiglia ampia di tecniche o metodologie didattiche operative; tutti i tipi di ricerca d’aula utilizzano come materiale l’esperienza reale dei partecipanti, "riportata" da essi stessi in aula. Il termine "riportata", sottolinea Bruscaglioni, pone l’accento sul fatto che non si lavora su dati oggettivamente rilevati, ma sulla percezione che i partecipanti hanno della loro esperienza come fatto concreto. Questa metodologia si ispira alla ricerca psico – sociale, la quale a sua volta si muove su un asse metodologico fondamentale che è quello dello "strutturato poco – molto"; questo significa che anche le tecniche di "metodologia di ricerca d’aula" possono risultare molto o poco strutturate rispetto al metodo di generazione e raccolta del materiale di riflessione (dal giro di tavolo a seguito di un imput generico alla predisposizione di una griglia più o meno rigida), oppure rispetto al contenuto (definito, delimitato a priori o inizialmente libero), o infine rispetto alla modalità proposta per la riflessione e la elaborazione dei dati emergenti. In generale, questa famiglia di tecniche è ritenuta opportuna in ambiti e materie in cui "rilevante è la soggettività: degli individui, dei gruppi, delle aziende" (23), ed è fortemente indicata per tematiche relative al comportamento organizzativo (relazioni interpersonali, conduzione di collaborazioni, comunicazione, problemi di ruolo, cultura organizzativa, rapporti tra gruppi e settori) e per la formazione su tematiche applicative specifiche. Fa parte di questa famiglia anche il più conosciuto "metodo degli autocasi", dove appunto si lavora in formazione su un caso effettivamente verificatosi, con il senso metodologico di ricercare il significato di ciò che è avvenuto, e nel quale l’apprendimento consiste nella possibilità di riorganizzare più efficacemente i dati del problema. L’obiettivo è "imparare dall’esperienza", imparare cioè ad utilizzare le proprie potenzialità soggettive relazionandole ai dati di realtà immediatamente meno percepibili; nel processo formativo attivato con questo metodo, si è portati ad utilizzare anche modelli di concezione della realtà meno semplicistici, meno difensivi, meno arbitrari di quelli che utilizzeremmo in prima battuta (24). Il ‘metodo degli autocasi’ è ritenuto particolarmente efficace in quelle situazioni in cui "risultano cruciali gli aspetti soggettivi e in particolare quelli relazionali, i vissuti degli individui, i loro modi di organizzare mentalmente ciò che succede intorno a loro" (25).

Nel definire, quindi, alcuni strumenti operativi per la definizione dei fabbisogni formativi per le organizzazioni di volontariato, abbiamo utilizzato alcuni suggerimenti tecnici e metodologici provenienti dagli studi più recenti nell’ambito della formazione e apprendimento degli adulti. Abbiamo cercato, però, di non attribuire al Volontario un ruolo di tipo esclusivamente professionale e alle Organizzazioni un connotato aziendalistico; abbiamo cercato, piuttosto, di tenere ben presenti gli aspetti, le ambivalenze e le originalità di questa formazione sociale rispetto ad altre organizzazioni complesse, e di tenere conto delle caratteristiche, delle peculiarità e delle motivazioni dei protagonisti dell’azione volontaria.


NOTE

1) Altieri L., Bassi A., Masotti G., Una società civile in - formazione. Analisi dei bisogni formativi delle organizzazioni di volontariato delle province di Forlì e Ravenna, ECAP, 1996, pag.59.
2) Donati Pierpaolo, Volontariato verso il 2000: nuovi bisogni e prospettive, in Comolli Garbagnati (a cura di), "Volontariato verso il duemila. La solidarietà diventa protagonista", Franco Angeli, Milano 1996, pagg.22 - 26, pag. 24
3) Altieri L.., Bassi A., Masotti G.., op . cit., pag. 26
4) Zimmerman Marc, Empowerment e partecipazione della comunità , in "Animazione Sociale", N°2 anno XXIX, Febbraio 1999, pagg. 10 - 24.
5) Per esempio quelle di Francesca Busnelli e Donatella Bramanti, vedi bibliografia.
6) Busnelli Francesca, "La formazione del volontariato, in Gallina, Lichtner, L'educazione in età adulta - Primo Rapporto Nazionale, Franco Angeli, Milano 1996, pagg. 117 - 123.
7) La parte che segue è abbastanza fedele alla elaborazione della Busnelli in ibidem, pag 121, 122, 123.
8) Maurizio Roberto, L'Università della strada del Gruppo Abele, in Gallina, Lichtner, "L'educazione in età adulta - Primo Rapporto Nazionale", Franco Angeli, Milano, 1996, pagg. 124 - 134.
9) Ibidem, pag.129.
10) Ibidem, pag 129.
11) Bruscaglioni Massimo, Dal formatore ai formatori: ruoli e professionalità nel sistema articolato della formazione, in Infelise Lilia (a cura di) "La Formazione in impresa: Nuove frontiere in Europa", Franco Angeli, Milano, 1994, pagg. 399 - 421, pag. 415.
12) Maurizio Roberto, op. cit. La classificazione dei bisogni è a pagg. 131, 132.
13) Per il riferimento bibliografico vedi nota 3.
14) Altieri L.., Bassi A., Masotti G., op . cit., pag.37
15) Ibidem, pag.153-154.
16) Nasce da un bisogno di formazione maggiormente orientata allo sviluppo e al consolidamento dell'organizzazione e chiama a percorsi formativi che consentano alle OOVV di riflettere su se stesse e di individuare la propria collocazione rispetto all'utenza, alla comunità in cui opera, portando ad un generale miglioramento delle relazioni esterne.
17) Si tratta di una formazione di base che aiuti tutti i volontari a comprendere le motivazioni della propria scelta e ad imparare a confrontarle con gli obiettivi del gruppo; si tratta di interventi formativi che possano educare al confronto, e far acquisire le capacità di mettersi in discussione.
18)Sviluppare maggiori competenze tecniche relative alla gestione di una organizzazione complessa, alla capacità di leggere il contesto in cui si opera, capacità di operare, gestire e verificare interventi di cambiamento sociale sul territorio.
19) Quaglino G. P., Carrozzi G.P., Il Processo di formazione. Dall'analisi dei bisogni alla valutazione dei risultati, 20) Franco Angeli, Milano, 1998.
21) Ibidem, pag.70
22 )Per un approfondimento ed una descrizione dettagliata degli strumenti si veda direttamente il testo da pag. 93 a 158.
23) Bruscaglioni Massimo, La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Franco Angeli, Milano, 1997, pagg. 207 - 265. Ibidem, pag. 223.
24 ) Il processo di apprendimento che si realizza attraverso le metodologie di ricerca d'aula, dal punto di vista del soggetto in formazione, prevede il passaggio dalle seguenti fasi: a) si tende ad usare e a confermare i propri schemi interpretativi; b) si ricevono dagli altri partecipanti degli stimoli, delle nuove informazioni e proposte di significati che possono non essere coerenti con quelli organizzati secondo il proprio schema; c) ci si trova nella impossibilità di 'dare senso' ad informazioni e dati che l'aula ci presenta (tale situazione di 'perdita di senso' è più tollerata perché ci si trova nella situazione di formazione); d) la 'perdita di senso' stimola a produrre nuovo senso: si possono adottare nuovi schemi di interpretazione, assumere il punto di vista dell'altro, organizzare i dati del problema diversamente dall'approccio iniziale, individuare nuovi percorsi operativi, cambiare.
25) Bruscaglioni, op. cit., pag. 261.


  SEZIONE PRECEDENTE INDICE SEZIONE SUCCESSIVA